Esercizi di Vastità di Ilaria Margutti
La vita vissuta profondamente, si allarga sempre in una realtà che la trascende – ( Anaïs Nin )
Ho iniziato a ricamare le mie opere nel 2007, dopo aver conosciuto Rosalba Pepi, una maestra di ricamo che ha accompagnato il mio sguardo verso un mondo che fino ad allora non avevo mai considerato potesse avere la stessa forza di un linguaggio artistico.
Da quel momento per me è cambiata la consapevolezza che attribuivo al significato di essere artista.
Nel ricamare le mie figure ho avuto modo di avvicinarmi profondamente ai significati di parole quali attesa, cura, rito, ritmo, respiro, ascolto, guarigione.
Il filo ha una sua forza invisibile, silenziosa e imperturbabile dietro la quale si nasconde la narrazione e il mito delle nostre origini.
Con il filo ho ricamato ferite, tracciato volti, ho tessuto storie e trasformazioni, il filo è il segno che lega me stessa alla mia natura di donna e di artista.
È un viaggio interiore, è un diario intimo in cui ricamo il tempo dell’attesa, il dialogo infinito con la vita, alla ricerca di una continua metamorfosi, attraverso quel rito perenne del dipanare la tela.
L’incontro letterario con i Diari di Anaïs Nin, mi hanno dato accesso a nuove narrazioni, è stato come leggere la traduzione in parole dei miei segni ricamati, dei tempi infiniti passati seduta a intrecciare nodi, stratificare merletti, tessere altri fili e rammendare nuove guarigioni.
Con questa serie di opere ho cercato di portare alla luce il disegno di una mappa interiore, il paesaggio che ogni giorno tracciamo e creiamo con il nostro divenire, nei luoghi della solitudine e dell’attesa.
Sono donne che non si misurano più all’interno dei confini del proprio corpo, ma si estendono fuori dei limiti loro concessi, quasi a scomparire, fuori dalle maglie strette di ruoli riconoscibili, mettendosi in dialogo con ciò che punge, ferisce e che preme, per superare un confine predeterminato, ampliandosi verso un territorio da tracciare, solcare ed esplorare.
Un’ingresso dentro la profondità della vita, nascosta sotto la superficie della pelle, sotto le ossa, al di là del midollo, dietro ogni piega del corpo, dentro a ogni segno solcato dal tempo, abbandonando a se stessa quell’inquietudine fisica solo dopo averla attraversata.
Il corpo-contenitore è lo strumento, il dispositivo, l’esperienza, grazie al quale possiamo espandere la nostra vita.
Le opere che comprendono gli Esercizi di vastità, vogliono riflettere su quanto questa discesa nella profondità, seppur dolorosa, coincida con la nostra estensione, laddove il corpo non può più ricoprire ciò che ha di più profondo, è la vita personale vissuta profondamente, che si allarga fino a una realtà che la trascende ( Anaïs Nin).
Esercizi di vastità è il tempo della disciplina, della solitudine, del tirare i fili, stringere nodi, tessere codici in dialogo con le forme che la Natura ci suggerisce, sono allenamenti alla concentrazione nel dare valore allo sguardo, all’ascolto e alla narrazione che tramanda, attributi del tutto femminili per natura, che creano le mappe della nostra estensione possibile.
Il filo avvicina l’essere umano all’infinito, non solo per la sua forma, ma per il suo essere dentro la vita, dentro le trame che vestiamo di storie, solcando la tela di nuovi segni e significati, attraverso quel rito antico che si rinnova in una liberazione: L’ago diventa la spada per ricucire il mondo, metafora di una di una lunga guarigione solcata dai segni indelebili dei nostri passaggi.
Esercizi di vastità si fa quasi preghiera, mantra, si fa canto muto che ogni giorno accolgo e traccio sulla mia tela.
Per questo ho pensato di dare voce al mio fare attraverso le parole di Anaïs Nin, che racconta del suo essere donna artista e scrittrice in un mondo ancora acerbo per accogliere tanta complessità di pensiero femminile, la sua vocazione alla scrittura e la sua immensa vastità intellettuale.
Per ampliarsi bisogna aver vissuto la compressione più schiacciante e aver avuto la forza di liberarsene come solo una donna come lei può aver provato, così alimento le mie pose perenni, china sul telaio, spingendomi con gran forza dentro la mia consapevolezza, nella profondità più vasta della vita stessa.
Ricamare è una disciplina dell’anima, è la ricerca ossessiva del segno più vicino alla forma che indossiamo.
Siamo soli per uno scopo preciso: affinché possiamo udire la flebile voce della coscienza i cui sussurri sono soffocati dalla pazza folla…Occorre una capacità eroica per trasformare la solitudine in forza personale – (James Hillman).
E ancora, come scrive Anaïs, sono i miei mille anni di condizione femminile che sto registrando, mille donne.
Il mio ricamarmi, non è altro che questo racconto.