Le Variabili del Cigno | di Barbara Pavan

LE VARIABILI DEL CIGNO

di Barbara Pavan (luglio 2022)

 

“La natura è un bellissimo arazzo, del quale noi possiamo vedere solo il retro e, osservandone i fili lenti, proviamo a cercare di capire il disegno che sta davanti”

(J.D. Barrow – Le teorie del tutto)

La riflessione che solleva Ilaria Margutti attraverso questa serie di opere parte dalla tecnica per approdare alla scienza. L’artista invita l’osservatore a considerare il ricamo come possibilità di indagine nell’ambito delle logiche del processo scientifico in quell’ottica di contaminazione tra le discipline che caratterizza il nostro tempo. Una tecnica antica, fittamente intrecciata con la narrazione della storia e dell’arte non meno che con la dimensione femminile, intesa come quell’universo invisibile e silenzioso confinato tra le mura domestiche attraverso il quale però le donne hanno declinato per secoli la cifra della loro libertà creativa ed espressiva.

Intorno alla filatura, alla tessitura, al ricamo, poi, generazioni di fanciulle, mogli, madri, nonne appartenenti alle più disparate classi sociali, hanno riempito il tempo dilatato della ripetizione metodica e paziente dei gesti con la narrazione orale e, attraverso questa, hanno mantenuto viva e trasmesso la cultura dei popoli ben prima – e ben più capillarmente – di quanto non abbia potuto fare in seguito ed in ambienti più elitari e più maschili, la scrittura.

Solo nel corso degli ultimi due secoli i confini degli ambiti in cui le donne possono operare si sono allargati fino a raggiungere – quasi ultimo baluardo dell’emancipazione – quelli scientifici e tecnologici.

Nell’opera di Ilaria Margutti lungo le linee che collegano le galassie alle braccia protese, sono riportate a ricamo le coordinate registrate da Henrietta Leavitt tra il 1904 e il 1908 delle 1777 variabili nelle Nubi di Magellano, prese dal suo resoconto pubblicato negli “Annali dell’osservatorio Astronomico di Harvard College” composto di 21 pagine, di cui, due lastre e 15 pagine di tabelle.

La ricerca della Leavitt relativa alla misurazione delle distanze tra le cefeidi attraverso il metodo della sovrapposizione delle lastre fotografiche negative di un dato periodo, sul positivo corrispondete ad un altro, ha permesso di ampliare la visione dell’universo oltre le distanze calcolabili rendendo tridimensionale la percezione dello spazio oltre il confine raggiunto fino ad allora, costituendo la base sulla quale Edwin Hubble ha successivamente scoperto l’espansione dell’universo.

In questo suo toccare con mano l’infinito restando seduta e concentrata in uno spazio circoscritto, l’artista rintraccia il parallelo con il suo lavoro, quel movimento minimo che consente, però, attraverso il filo, di collegare distanze tra mondi differenti in un processo crescente di espansione che avviene sotto il suo sguardo, tra le sue dita: “Quando, anni fa, ho iniziato a ricamare, mi sono resa conto che nella dimensione di una sedia e un telaio, avevo iniziato ad esplorare l’infinito. Gli spostamenti inaspettati, le logiche sovvertite e le dislocazioni dalle certezze, tutto questo mio modo di lavorare, in sintesi, è una disciplina che segue un ordine geometrico, dettagli invisibili che sorgono dalla precisione di esecuzione. Tutto ciò mi ha svelato un silenzioso dialogo tra razionale e irrazionale, tra logica e intuizione, tra ciò che posso controllare sul dritto della tela e ciò che mi sfugge e accade sul suo rovescio.”

Nell’appassionarsi alla fisica delle particelle e poi successivamente ad alcuni argomenti dell’astrofisica, Margutti ha iniziato a trovare delle assonanze tra il suo modo di operare con il ricamo e le modalità di esplorare l’invisibile dell’universo, due facce della stessa medaglia, un retro e un verso di un tessuto in divenire.

Partendo dagli schemi della Leavitt, ha iniziato a riportare a ricamo le “stelle nere nelle notti bianche” che emergevano dalle sue lastre sovrapposte tracciando allo stesso tempo sul retro della tela, una rete di distanze e connessioni fatte di filo nero, un disegno di geometrie in espansione che non dipendono dalla volontà dell’artista ma dallo spostamento dell’ago da un punto all’altro e che svela direzioni che sul davanti non possono essere percepite, e viceversa. La citazione di Barrow trova corpo in questo gesto: il processo si svela solo nel suo farsi.