Intervista per GIULIANA RICAMA Maggio 2017

Intervista a Ilaria Margutti

-Ilaria, spiegami cosa rappresenta per te l’arte e il tuo modo di vivere/convivere con essa.
Esiste un momento nella vita di alcuni, in cui nasce l’urgenza di comprendere se stessi in relazione al mondo che lo circonda, sia esso interno o esterno. Quando l’urgenza personale per risolversi e capirsi viene superata, allora si può iniziare a parlare di Arte. Essa diventa così, un modo per donare al mondo un mezzo di comprensione. Qualche tempo fa, un mio alunno durante una delle mie lezioni tenute di fronte alle opere del Museo Civico di Sansepolcro, mi disse : “l’Arte non è espressione del talento umano, ma del talento della Natura, in quanto l’Artista restituisce il Dono della Natura, alla Natura stessa”. Credo che questa frase riassuma perfettamente il concetto che ho dell’Arte.
Personalmente penso l’arte come un catalizzatore della vita, un canale d’indagine, sia per l’ artista, che per il fruitore; é un mezzo indispensabile per la conoscenza e la consapevolezza del proprio evolversi nel mondo. L’Arte non da risposte, ma indica direzioni.

Il tuo mondo espressivo è molto legato al femminile, rappresenti spesso donne nell’atto di autocucirsi, quasi a voler richiudere una ferita aperta ormai da secoli. Mi sbaglio? Come ti poni rispetto alle problematiche del femminile?
La ferita è una metafora. Oggi, può rappresentare tutte le ferite del mondo, mie, di altre donne, o altre persone, anche se son state proprio ferite personali il punto di partenza del mio percorso. C’è sempre un inizio dovuto da una contingenza biografica dalla quale nasce “l’urgenza”, poi si sfoca, perde consistenza e allo stesso tempo si amplifica, diventa assoluta, universale, slegandosi da me o dal singolo soggetto. Questo avviene perchè ad un certo punto del mio cercarmi, sento che quella stessa “urgenza” non mi appartiene più, si distacca, come se fosse uscita fuori da me, diventa altro, ed è lì il momento in cui sento che inizia la vera ricerca. Le mie prime opere “sull’autocucirsi”, risalgono al 2008, è una fase iniziale dei miei lavori dove rappresentavo donne nell’atto di cucire il proprio corpo, ricamavano i confini della pelle per definire la propria identità, non c’era ferita, c’era però il limite di se stesse che doveva emergere alla coscienza tramite l’azione. Vediamo l’ago, ma non c’è dolore, perché appare la stessa cura che una ricamatrice impiega per eseguire il proprio lavoro. Successivamente con il progetto di “Il filo dell’Imperfetto”, ho dedicato una serie di lavori alle cicatrici sulla pelle, che avevano lasciato un segno indelebile sul vissuto personale. In quei ritratti, ho chiesto ai miei soggetti di raccontarmi la loro storia, li ho fotografati nelle pose in cui, dialogando con se stessi, “richiudendo” metaforicamente, la propria ferita e donandola al mondo, si liberavano di quel peso, come fosse una seconda guarigione, quella definitiva. Io non ho fatto altro che portare a conclusione il loro gesto, rammendando la tela, come fosse pelle.
Finora il ricamo è stato inteso e utilizzato come espressività creativa o tecnica artigianale, mentre il gesto che rappresento tramite queste figure, vuol trasformare il ricamo in un linguaggio e quindi un mezzo per fare Arte.
Ricamare solitamente, nel suo fare antico, è associato alle sole donne. Un tempo era il modo per riunirsi, narrare, tramandare le tradizioni e prendersi cura dei propri figli; molta della letteratura femminile parte proprio da questo tipo di aggregazione, la quale frequentemente, veniva utilizzata per imparare a leggere e scrivere di nascosto dalla volontà
Rappresento spesso figure di donne, ma non mi riferisco unicamente alla problematica del femminile, piuttosto credo che ci siano delle problematiche umane, anche se tutto è partito da una mia esigenza personale di indagine interiore, quindi dal mio essere donna, mi rivolgo all’umano in generale, alla relazione con se stessi e con l’altro. Ad un artista uomo non viene mai chiesto se stia trattando una problematica maschile. La problematica femminile dovrebbe riguardare anche l’uomo e se esiste, è proprio questa: il dover essere riconosciuta in quanto donna e non in quanto essere umano. Nessuna evoluzione, artistica, filosofica o scientifica è stata finora maschile, anche se è stata portata avanti da molti più uomini che donne. Sul tema del “maschile/femminile”, sto lavorando ad un progetto assieme a Samuele Papiro, un altro artista che da sempre ha a cuore il concetto di identità e relazione.

Rispetto alla mia personale visione delle cose, intendo l’arte come un’atto d’amore, è questo che mi ha colpito nelle tue opere. Rappresentano, oserei dire, un vero e proprio parto con un lungo periodo di gestazione, dovuto anche alla tecnica da te utilizzata. Parlaci di questo tua antica quanto originale tecnica rappresentativa.
Il ricamo è una forma di tessitura e quest’ultima ha un’origine antichissima, il poter tessere ci ha reso umani. E’ un’insieme di discipline e tecniche che derivano dall’uso della ragione e dell’ingegno (basti pensare alla complessità di progettare e realizzare il filo, il telaio e quindi la trama e l’ordito) uniti dalla necessità di coprirsi e dalla creatività dei decori. In fin dei conti il tessuto è il mezzo tramite il quale abbiamo fabbricato la nostra prima difesa, prendendoci cura di noi.
Per quanto riguarda il mio percorso, sono approdata al ricamo abbandonando la pittura, perchè sentivo che dovevo superarla, staccarmi dalla sua bidimensionalità che percepivo come un limite. L’incontro con la mia maestra di ricamo Rosalba Pepi, mi ha permesso di scoprire il fascino del filo, il suo rilievo e la sua luce, ma anche la possibilità di liberare la tela, facendola tornare ad essere tessuto. L’esperienza del ricamare, permette di non avere mai una visione totale dell’immagine riportata sulla tela, in quanto il mio lavoro che solitamente ha grandi proporzioni, viene eseguito poco per volta, avanzando il disegno sullo spazio di un telaio di 25/30 cm di diametro. La visione dell’intero, sarà dunque sempre parziale e incompleta, ma questo permette di acquisire altri vantaggi: ho la possibilità di estraniarmi perdendomi nelle particolari sfumature del filo e nelle sue forme in quei pochi cm quadrati di superficie.

Un’altro aspetto che trapela dalle tue opere è che queste donne trasmettono serenità, i loro sguardi sono come uno specchio emotivo che ci spingono a riflettere sui nostri archetipi.
Si, infatti è proprio questo il concetto che vorrei potesse passare difronte alle mie opere. Il gesto che le mie figure compiono, è quello del “dono”, sono le custodi di un segreto, non hanno avuto paura di affrontarsi, per questo non hanno espressione di dolore, nonostante il contrasto. Penso alle mie figure femminili come delle Korai greche, proiettate verso il distacco razionale del controllo di loro stesse.

Intervista di Lucia Lo Cascio

Ilaria Margutti è nata nel 1971 a Modena e vive e lavora a Sansepolcro, in provincia di Arezzo.

Nel 1997 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze, quindi intraprende la carriera artistica, che dal 2004 viaggia in parallelo con quella di docente di disegno e storia dell’arte, sostenendo progetti mirati alla diffusione dei linguaggi dell’arte contemporanea.

Quello della Margutti è un cammino di indagine introspettiva e identitaria. Partita da uno stile pittorico di derivazione espressionista, dal 2007 inizia a usare il ricamo come elemento fondamentale della sua ricerca, che diventa, così, il linguaggio in cui sente meglio rappresentata la propria poetica. Una tecnica densa di significati simbolici sulle origini del femminile e intensamente collegata a una ricerca identitaria, che affonda le proprie radici nella storia greca.

Secondo l’artista il raggiungimento di una consapevolezza interiore passa attraverso la volontà di affrontare il dolore come superamento delle proprie paure, ecco perché nelle sue opere vediamo spesso figure con l’ago in mano, intente a definire i confini del proprio volto o del corpo, oppure altre chinate a rammendarsi ferite.

Ilaria ha scelto un’arte antica per parlare di dolore, guarigione e riscatto– scrive Adriana Maria Soldini –; il ricamo è un’attività muliebre dagli albori dell’umanità. Ha lasciato che l’ago, usato come una matita o un pennello, consentisse a quel filo di proseguire il suo cammino nel racconto di una storia individuale che l’arte rende collettiva. Sottile ma resistente, il filo si torce, si tende, si annoda per tessere con pazienza e fierezza la rappresentazione di un corpo sinuoso e vibrante fino alla sublimazione della convalida di una identità conforme a nuovi parametri.  

Il tessuto sul quale l’autrice lavora diventa la sua epidermide, il confine ultimo tra il corpo e l’ambiente esterno su cui portare avanti una profonda ricerca di se stessa.

Ilaria Margutti sa che i ricami sulle tele sono le ferite dei teli e dei corpi – osserva Paolo Fichera –.Ferite che ci costringono ad altri movimenti, altre azioni, ad altre scoperte di sé: fuori dalla parola nella parola; fuori dalla pelle nella pelle; fuori dalla voce nella voce.

 

 

 

Dal 1996 l’artista ha partecipato a mostre personali, collettive, fiere e concorsi di prestigio in Italia e all’estero, collaborando con gallerie private e pubbliche.

Nel 2016 la vede impegnata con altri due artisti italiani in una mostra dedicata al corpo presso la Galleria 126, Galway ( Irland)

Nel 2014 la personale La mappatura identitaria del corpoè stata allestita alla Galleria Art Forum di Bologna. Nello stesso anno la Margutti è stata ospitata nelle fiere di Istanbul, Bologna e Verona.

Nel 2013 ha esposto con la personale Il corpo scritto sul filoalla Galleria Montevergini di Ortigia, a Siracusa.

Nel 2012 la mostra Fuori dalla pelleè stata portata allo Spazio Lavatoio Contumaciale di Roma.

Nel 2011 ha presentato la personale Pelle-Mutaalla Wannabee Gallery di Milano.

Nel 2010 è stata ospite per una residenza artistica De L’Esprit e de L’Eauad Abidjan, in Costa d’Avorio, nell’ambito di un progetto sostenuto dal Consolato Italiano.

Nel 2008 le sue opere sono state finaliste in tre premi internazionali: Arte Laguna, Arte Mondadoried EmbroideresGuild.