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Il filo dell’imperfetto – Wannabee Gallery, 2009
La chirurgia dell’anima.
di Alessandra Redaelli
La donna è colta in un momento che appartiene solo a lei. La si immagina sola, nella casa vuota. Probabilmente è davanti a uno specchio. Sì, la sensazione dello spettatore è proprio questa: di trovarsi, per qualche oscuro mistero, dietro uno specchio del quale non conosceva l’esistenza. E ora è lì, costretto a spiare i gesti terribili e ineluttabili di quella che potrebbe essere la protagonista di un’antichissima tragedia. Eroina (o antieroina) condannata a quella che sembra una pena atroce. E ancora più atroce appare per quello sguardo quieto, rassegnato. Per quel fare lento, preciso e inesorabile. La donna è lì. Gli occhi non piangono né sorridono. Le grandi mani tengono saldamente un ago da cui pende un lungo filo. E con quello la donna si cuce le labbra.
Ilaria Margutti è una ragazza solare e decisa che racconta, con un fare di sapore antico, di donne a una svolta. China sul telaio ricama storie fermando sulla tela il momento del dolore e della trasformazione. Al centro delle storie c’è sempre una cicatrice. Non metaforica: reale. Una ferita, un’offesa alla perfetta bellezza che è propria di ogni corpo, comunque esso sia. La cicatrice è taglio, rottura, cesura, interruzione di una continuità di cui non si coglieva l’inestimabile valore fino al momento in cui qualcosa o qualcuno ne ha oltraggiato la purezza. Ma la cicatrice è, secondo Ilaria, soprattutto momento di cambiamento epocale. Spunto per ripensarsi e rinascere più duri e più forti. Più consapevoli di sé come esseri unici e irripetibili. Se possibile “ancora più unici” nella specificità di quel dolore e di quella ferita. E la rinascita, qui, avviene attraverso il gesto simbolico del ricucirsi. Ricucire un nuovo sé. Ricostruirlo punto dopo punto, nodo dopo nodo, diventando artefici del proprio essere, madri di se stesse. Curando e accarezzando il proprio corpo colpito per restituirgli energia e fiducia.
Storie forti e dolorose, speranze deluse e violenze subite, si raccontano qui attraverso una galleria di personaggi straordinari e potenti che ricamano la propria pelle con l’amore con cui una madre d’altri tempi avrebbe ricamato il corredo nuziale per l’unica figlia. Personaggi che ricamano e che sono, a loro volta, ricamati in un gioco di rimandi senza fine. E il gesto del ricamare è all’artista talmente congeniale che l’ago si muove sulla tela con la libertà e la forza della punta di una matita su un foglio di carta, dando vita a figure dense, emozionanti, per molti versi vicine ai tormentati nudi di Schiele. Filo, nastri, garze, qualche volta pizzi si sommano e si sovrappongono in composizioni dai tagli fotografici azzardati, dove l’impostazione classica della figura (certi nudi di schiena sembrano vere e proprie citazioni di Ingres) non toglie mai spazio a dettagli che rivelano l’amore assoluto di Ilaria Margutti per il corpo. Il corpo qui è carne vera, viva e sanguinante, senza infingimenti, amata nelle sue curve e nei suoi spigoli, nella cedevolezza e nella ruvidità, nelle ombre e nelle pieghe. Corpo caldo, sofferente e pulsante, tanto più apprezzabile in un momento storico in cui il corpo sembra sempre più trasformarsi in involucro perfetto e omologato, oggetto a cui è vietata la possibilità di ammalarsi, gelida macchina senza alcun collegamento possibile con l’anima.
Mentre ci sono anima e carne calda e viva – nello specifico quella dell’artista – al centro del video che completa la mostra. L’atto simbolico del cucirsi addosso un abito di garza bianca si sdoppia d’un tratto mostrando la donna, la protagonista, che mima il gesto di cucirsi la pelle nuda. Nella penombra, in un silenzio rotto solo dalle note di una musica sussurrata, le mani afferrano la carne, la sollevano, l’accarezzano, e di nuovo cercano la pelle ferita, ne ricostituiscono l’integrità, la redimono, infine, dalla sofferenza e dal dolore.
ENGLISH VERSION
Soul surgery.
Alessandra Redaelli
The woman is caught in a moment that belongs only to her. One imagines her being alone, in an empty house. She is probably in front of a mirror. This is exactly what the spectator feels: being for some obscure reasons, behind a mirror of which the existence was ignored. And now he is there, forced to spy the terrible and unavoidable gestures of someone who could act as the heroine of an antique tragedy. Heroine (or anti-heroine) condemned to what appears to be a ferocious punishment. And it is even more ferocious for her calm, resigned look. Her slow motion, precise and unavoidable. The woman is there. Her eyes do not cry or smile. Her big hands hold steadily a needle from which a long thread is hanging. And with it, the woman stitches her lips
Ilaria Margutti is a warm and strong girl who, with ancient skills, tells stories of women in front of a turning-point. Bent on the loom, she embroiders tales and freezes on the canvas the moment of pain and transformation. There is always a scar in the center of the story. Not a metaphorical one: a real scar. A wound, an offence to the perfect beauty that belongs to every body, however it is. The scar is a cut, a break, a caesura, an interruption of something highly valuable but underestimated until something or someone offend its purity. According to Ilaria the scar is above all a moment of landmark changes. A cue to re-think one self and be born again, harder and stronger and unrepeatable. And, if possible “even more unique” for that specific pain and wound. The new birth is possible thanks to the act of stitching oneself. Stitching a new self. Rebuilding it stitch after stitch, knot after knot and becoming its creator and mother. Taking care of a wounded body and giving back to it energy and trust.
Harsh and painful stories, deceived hopes and violence are told here through a gallery of extraordinary and powerful characters who embroider their own skin with the same love a mother of the past would use to embroider her daughter’s trousseau. Characters who embroider and are embroidered themselves in a never ending reference game. The act of embroidery is so familiar to the artist that she moves the needle on canvas with the same strength and freedom of the pencil on a piece of paper, thus creating dense and moving figures, for some reasons close to Schiele’s tormented nudes. Threads, ribbons, gauzes, and sometimes lace add up and overlap creating images with hazardous framing, in which the classical figure foundation (some of her nudes seem real homage to Ingres) leaves space to details that reveal the absolute love Ilaria Margutti has for the body. The body here is made of real flesh, pulsating and bleeding, without feigning, loved for its curves and corners, for its suppleness and roughness, for its shadows and wrinkles. A warm, suffering and living body, ever more appreciable in a moment in which the body is transformed more and more in a perfect and homologated wrapper, an object that cannot get sick, a cold machine without any possible link to soul.
On the contrary there are soul and flesh warm and alive – the artist’s – in the video that completes the exhibition. The symbolic act of stitching over her own body a white gauze dress at a certain point spits, showing the woman, the protagonist, who acts the gesture of stitching her own skin. In the shade, in a silence broken only by the notes of a whispered music, hands clasp the flash, lift it, caress it and again search the wounded skin to heal its integrity, rescuing it for its suffering and pain.